ERMETE TRISMEGISTO
Ermete Trismegisto (dal greco antico Ἑρμῆς ὁ Τρισμέγιστος, in latino Mercurius ter Maximus) è un personaggio leggendario di età pre-classica, venerato come maestro di sapienza e tradizionalmente ritenuto l’autore del Corpus Hermeticum. A lui è attribuita la fondazione della corrente filosofica nota come ermetismo.
Il nome ‘Ermete Trismegisto’ designa l’autore fittizio di una serie di testi di natura molto varia e dedicati a temi che vanno dalle pratiche magiche e astrologiche alle speculazioni filosofiche e teologiche. Si tratta di testi redatti originariamente in lingua greca e di periodo ellenistico, ma che fanno mostra di una coreografia egiziana antica, poiché pretendono di rivelare la perduta sapienza di quella civiltà, sia essa orientata alla magia, alla religione o alla speculazione filosofica.
A tali documenti ci si riferisce genericamente con l’espressione ‘scritti ermetici‘.
La figura di Ermete Trismegisto è il frutto di un’elaborata sintesi del dio greco Hermes e dell’egiziano Thoth. Platone, in due diversi testi, ci parla di loro: Hermes è dio interprete, messaggero, ladro, ingannevole nei discorsi e pratico degli affari, in quanto esperto nell’uso della parola; suo figlio è il logos(Pl. Crat. 407e-408d), Mentre di Thoth ci racconta: Ho sentito dire che Naukratis, in Egitto, era sede di uno degli antichi dei di quel paese, quello il cui uccello sacro è l’ibis e che si chiama Theuth. Fu lui a inventare i numeri, l’aritmetica, la geometria e l’astronomia, e anche il gioco delle pedine e quello dei dadi, ma soprattutto la scrittura. (Pl. Phaedr. 274c-275b.)
Dati i caratteri delle due divinità è evidente come ben si prestassero a un’operazione sincretistica. Per quanto non sia possibile stabilire con certezza il periodo in cui si attua l’identificazione di Hermes con Thoth, è certo che nel I secolo a.C.: essa è un dato di fatto; anzi, deve essere giunta a un tale livello di elaborazione combinatoria, da avere prodotto molti frutti, tipicamente non del tutto coerenti. Cicerone elenca ben cinque personaggi che si chiamano Mercurio (il nome latino per Hermes), di cui il quinto è quello propriamente identificato con Thoth: Il primo Mercurio ha come padre il Cielo e come madre il Giorno; viene rappresentato in stato di eccitazione erotica dovuta alla vista di Proserpina. Un altro è il figlio di Valente e Foronide; questo è il Mercurio otterraneo, identificato con Trofonio. Il terzo, figlio del terzo Giove e di Maia, viene riportato dalle leggende come padre insieme a Penelope di Pan. Il quarto ha come padre il Nilo e gli egiziani ritengono che sia empio nominarlo. Il quinto, che è adorato dalla gente di Feneus, si dice che abbia ucciso Argo e quindi se ne sia fuggito in Egitto, dove dette agli egiziani le leggi e la scrittura. Gli egiziani lo chiamano Theuth, che è anche il nome del primo mese dell’anno secondo il loro calendario. (Cic. De natura deorumIII, 22, 56).
Accanto a questa proliferazione della figura sacra di Mercurio-Hermes, esiste anche una tendenza a considerarlo originariamente umano.
Platone ad esempio mostra almeno dei dubbi sulla natura di Thoth quando sostiene: Poiché un dio o un uomo divino si rese conto che la voce è infinitamente molteplice (in Egitto vi è una leggenda che narra che questi fu Theuth)… (Pl., Filebo, 18b).
Siamo di fronte dunque a una figura multiforme, che da un lato accomuna divinità di diversa origine e dall’altro si pone a metà strada fra il piano divino e quello umano, coerentemente del resto con il ruolo originario di Hermes mediatore, luogotente, faccendiere degli dei presso gli uomini. Tuttavia l’ambiguità di un essere in parte divino e in parte umano, per quanto attraente da certi punti di vista, dovette essere avvertita come problematica, se è vero che a un certo momento si fa strada nella letteratura ermetica la teoria dell’esistenza di due Ermeti, entrambi egiziani: il primo identificato con Thoth e il secondo con un suo discendente.
Nell’Asclepio Ermete Trismegisto parla del suo avo: Hermes, di cui io porto il nome , non aiuta e protegge forse tutti i mortali che giungono da ogni luogo presso la sua patria a cui ha dato il nome e in cui risiede? (Asclepius, §37). Abbiamo quindi un Ermete Trismegisto umano, o semidio, che è discendente e portatore della parola del suo antenato divino. Questo stratagemma narrativo raggiunge anche l’importante obbiettivo di risolvere un problema molto rilevante dal punto di vista magico religioso: come poteva mantenersi la sacralità della parola di Thoth, espressa in egiziano, una volta che questa veniva tradotta in greco? Nessuno meglio del discendente diretto era in grado di garantire l’efficacia dell’operazione.
L’appellativo di Trismegisto
Ermete Trismegisto significa letteralmente “Ermete il tre volte grandissimo”. Con questo nome si voleva assimilare Ermete/Hermes, dio greco del logos e della comunicazione, a Thot, dio egizio delle lettere, dei numeri e della geometria. Essendo costume degli egizi iterare l’aggettivo «grande» davanti al nome delle divinità, Ermete era quindi appunto indicato come il grandissimo per tre volte (tris-megisto).
Secondo l’erudito del XVII secolo Athanasius Kircher:
«Gli Arabi lo chiamano Idris, dall’ebraico Hadores(…), i fenici (…) Tauto, gli Egizi (…) Thot ma lo chiamano anche Ptha e i Greci Ermete Trismegisto.» |
(Obeliscus Pamphilius, 91) |
Ermete fu fin dall’antichità accostato a Thot, presente nella tradizione egizia. Entrambi sono al servizio di una divinità superiore (Ermete è messaggero di Zeus, Thot è lo scriba di Osiride); Ermete è dio della parola e Thot è dio della parola e della letteratura; entrambi sono psicopompi, accompagnatori delle anime dei defunti nell’oltretomba. Sia Ermete che Thot sono inoltre, nelle loro rispettive culture, gli dèi della scrittura e della magia. A seguito di un tale processo di assimilazione tra divinità greche ed egizie, avvenuto nell’atmosfera sincretistica dell’Impero romano, Ermete Trismegisto divenne il dio rivelatore della verità e mediatore tra gli uomini e gli dèi.
Poiché Clemente di Alessandria riteneva che gli scritti sacri di Ermete fossero quarantadue e contenessero il nucleo degli insegnamenti formativi degli antichi sacerdoti faraonici, Siegfried Morenz suggerisce in proposito che il riferimento all’autorità di Thot si basasse su una tradizione piuttosto antica, e che il numero “quarantadue” probabilmente derivava dal numero dei nomi egiziani.
Giamblico attribuiva a Ermete decine di migliaia di opere, di grande antichità e immensa importanza, anteriori persino a Pitagora e Platone, che a quei testi avrebbero attinto.L’origine egiziana delle dottrine ermetiche è stata poi ribadita da alcuni studiosi odierni come Martin Bernal.
Il titolo di “Trismegisto” (o, alla latina, Termaximus), cioè “tre volte grandissimo” compare per la prima volta attribuito a Hermes in Atenagora: Quando Alessandro ed Hermes, che è chiamato Trismegisto, fanno risalire la loro famiglia agli dei, e altri che sono troppi per menzionarli tutti-fanno lo stesso, non resta alcuna ragione di dubitare che essi erano considerati dei perché erano re (Legatio28,6,6). Del suo significato ci dà una spiegazione esplicita Marsilio Ficino nell’Argomentum che precede la sua traduzione del Pimander, nome da lui dato a tutto il Corpus hermeticum: Trismegisto è detto tale, cioè tre volte grandissimo perché fu grandissimo filosofo, grandissimo sacerdote e grandissimo re.(Ficino, Op. Omn., II, 1836)
In questo senso Ficino si riallaccia a una consolidata tradizione medievale che parla di un “Hermes Triplex”, re filosofo e profeta. Esiste anche un interessante passo di Marziale (Epigr.V, 24, 15) in cui si afferma che Hermes è omnia solus et ter unus. L’indicazione è talmente vaga, che accettarla come chiaro riferimento al nostro Ermete sembra azzardato, anche perché ‘tre volte uno’ non è sinonimo di ‘tre volte grande’, comunque non va trascurata anche perché si tratta di una testimonianza assai antica, risalente precisamente al 89 d.C.
Alkemill / LilithEye