Calendario Wicca – Festività – 23 Marzo : Morte di Attis
Nella Wicca e nel calendario Pagano la Festa della morte di Attis si celebra il 23 Marzo, come simbolo della morte e della rinascita ( Inverno – Primavera , Luce – Buio , Morte – Rinascita)
Attis, che era chiamato il figlio unigenito e salvatore era adorato dai Frigi uno dei popoli più antichi dell’Asia Minore. Da essi egli veniva rappresentato come un uomo legato ad una pianta, ai piedi della quale c’era un agnello.
Lattanzio fa dire ad Apollo di Mileto che: “Egli era un mortale secondo la carne; saggio in opere miracolose; ma, essendo stato arrestato da una forza armata per comando dei giudici Caldei, egli subì una morte resa amara da chiodi e pali”.
Nel festival di Attis il 22 di Marzo veniva abbattuta una pianta di pino ed una effige del dio veniva affissa ad essa simboleggiandone la morte. Tre notti dopo i sacerdoti trovavano la tomba di Attis illuminata dall’interno ma vuota, poiché nel terzo giorno Attis era risorto.
Il dramma di Attis era tanto simile alla storia cristiana che i cristiani furono costretti a ricorrere all’argomento pretestuoso che il diavolo aveva creato il culto di Attis prima dell’avvento di Gesù per ingannarne i seguaci.
La morte di Attis era solo un passaggio. La sua resurrezione veniva annunciata la notte del 25 marzo.
Dopo i Tristia (giorni del dolore per Attis), nei giorni degli Hilaria (allegria) imperava per le strade una generale sfrenatezza. I giorni del sangue venivano dimenticati e la festa si concludeva con l’abluzione dell’immagine d’argento della Dea Cibele, con il volto di pietra nera e scabra nel torrente Almone.
Così ogni anno, nella gioiosa primavera si celebrava la morte e la rinascita di Attis
Origini del Mito
Il mito è originario della Frigia, ed è testimoniato da due versioni che divergono sul fatto che:
- in una l’amante di Attis è Agdistis
- nell’altra è Cibele.
Gli antecedenti del mito partono dal tentativo di Zeus di avere un rapporto sessuale con Gea (identificata con la frigia Cibele), dea della Terra. Gea, secondo la teogonia di Esiodo, nacque dal Caos, che è la materia primordiale divinizzata, ma senza avere in sé niente di personale. Il Caos diede la vita a Gea la quale, per partenogenesi, diede vita ad Urano (il cielo stellato) e a Ponto (le profondità marine). Gea poi si unì ad Urano dando vita ad Oceano (divinità maschile delle acque, che si unì a Teti divinità femminile delle acque, nata anch’essa da Gea e da Urano. Oceano e Teti generarono 3000 fiumi), e ad altri titani. Poi da Gea e Urano nacque Crono, che nutrì avversità per il padre Urano, poi nacque Rea che divenne sposa di Crono. Dai due nacque Zeus e sei dei dodici dei dell’Olimpo (Zeus, Era, Poseidone, Ares, Ermes, Efesto, Afrodite, Atena, Apollo, Artemide, Demetra, Estia, che cedette il suo posto a Dionisio. L’Olimpo coi suoi 2.918 metri di altezza è la montagna più alta della Grecia).
Il tentativo di Zeus di fecondare Gea col suo consenso fallì perché la dea si sottrasse e il seme di Zeus cadde a terra. L’atto di Zeus era spinto dalla volontà di appropriarsi della dea dalla quale aveva avuto origine tutto il mondo e gli dei a partire dal Caos. Era un volersi porre come rivale di Urano, che Crono, padre di Zeus, odiava. Dalla terra, resa feconda dal seme di Zeus, emerse un essere bisessuale, Agdistis. L’essere si dimostra tanto violento, tanto feroce da spaventare gli dei dell’Olimpo. Dionisio, allora, gli tese un tranello legandogli i genitali con un filo fissato ad una pianta. Salito Agdistis sulla pianta venne precipitato a terra e così venne evirato. Dal sangue di Agdistis caduto a terra nacque un mandorlo (Il mandorlo è un simbolo di giovinezza. E’ la prima pianta a fiorire in primavera dichiarando così chiuso l’inverno). La figlia del dio fluviale Sangarios (fiume della Frigia), di nome Nana, mangiò, senza nulla sapere, un frutto del mandorlo e rimase incinta. Il padre di Nana, ignorando tutto, rigettò la figlia, che però venne aiutata da Gea (Cibele) a portare a termine la gravidanza. Nacque Attis, che dovette vivere tra le montagne, allattato da una capra (attagos, in frigio, da qui il nome Attis).
1 – Una versione del mito, quella che ben presto si arrestò lasciando posto all’altra, dice che Attis divenne compagno di caccia di Agdistis, ormai unisessuale, e suo amante. Il re di Pessinunte, Mida, volle dare in sposa ad Attis sua figlia, affinché si civilizzasse. Durante la festa nuziale intervenne Agdistis, che coi suoi poteri fece impazzire la sposa la quale si tagliò i seni. Attis, sconvolto, andò sotto un pino e si evirò, dando poi i suoi genitali a Agdisis prima di morire, in riscatto del tradimento. La sposa poi si uccise gettandosi sul cadavere di Attis. Gea (Cibele) poi seppellì i genitali di Attis.
2 – L’altra versione del mito, che prevalse sulla prima centrata su Agdisis e Attis, trovò grande diffusione, ponendo al centro Cibele e Attis come amanti.
Attis, tuttavia, si innamorò della figlia del re Mida per sposarla. Nel mezzo della cerimonia nuziale giunse Cibele che, innamorata tradita, gettò la pazzia su Attis. Questi andò ad evirarsi rinunciando, così, il matrimonio con la figlia del re Mida, e riparando il tradimento a Cibele, e così morì. Dal suo sangue caduto in terra nacquero delle viole. Cibele ottenne poi da Zeus che il corpo di Attis non imputridisse e che i capelli continuassero a crescere e che potesse muovere il dito mignolo della mano. Cibele diede sepoltura ai genitali di Attis, che diventò così dio della vegetazione, che sboccia a primavera dopo la sospensione di vita nell’inverno.
1 – Nella versione frigia del mito si può cogliere che Attis cerca di liberarsi di Agdistis, ma si trova di fronte ad una vendetta tremenda che non colpisce lui, ma la sua sposa. Attis decide di evirarsi per non ritornare con Agdistis, al quale dà poi quanto desiderava: i suoi genitali evirati. Cibele poi li seppellì. Il male originato da Zeus nella sua bramosia verso Gea (Cibele), trova il suo superamento attraverso un atto d’amore di Attis per la sposa.
2 – Nella seconda versione si narra di Attis che impazzisce di fronte al dolore di Cibele innamorata di lui e per mezzo dell’evirazione si riscatta e si riaggancia a lei.
Il mito ha aspetti tragici, nei quali risalta un amore passionale, pesante, istintivo, che di fronte al tradimento diventa feroce, placandosi solo con l’autodistruzione del traditore, che per questo merita un trionfo: le viole che spuntano dal suo sangue. E’ il dio della vegetazione.
Il mito nell’epoca ellenistica: i misteri di Attis e di Cibele
Il mito di Attis e di Cibele in epoca ellenistica si caricò di nuovi significati. Innanzitutto crebbe enormemente la figura di Cibele fino a diventare la madre di tutti gli dei nella sua identificazione con Gea. L’evirazione di Attis divenne sempre più un atto di culto verso la dea, che piuttosto l’occasione per celebrarlo come dio della vegetazione. Attis evirandosi aveva sigillato la sua appartenenza alla dea, e la dea aveva ottenuto da Zeus che gli fosse data una vita corporea anche se minimale. L’evirazione diventò l’evento centrale degli adepti ai misteri di Attis e Cibele.
A Roma il culto arrivò il 4 aprile 204 a.C. con la costruzione di un tempio sul Palatino. I sacerdoti della dea Cibele, detti i Coribanti, vivevano quasi del tutto segregati nell’area del tempio. Era vietato ad un cittadino romano e anche ad uno schiavo romano diventare un adepto mediante l’evirazione. Per i romani era un vero non senso. Per gli orientali c’era una lunga tradizione di eunuchi che occupavano cariche nello stato e di norma erano addetti agli harem regali.
Tuttavia agli aspetti esterni del culto a Cibele e Attis non c’era un divieto di partecipazione. All’inizio la festa veniva celebrata un giorno all’anno, poi in seguito venne dato maggiore spazio alle cerimonie.
Il culto misterico di Attis si sviluppò in senso ellenistico, nel clima culturale dello stoicismo, del neoplatonismo, dove il Fato era la forza oscura che dominava i passi degli uomini.
La festa si teneva a Roma il 4 aprile. Consisteva in una processione.
Sotto l’imperatore Claudio (10 a.C. – 54 d.C.) avvenne la riorganizzazione delle feste alla quale venne dato lo spazio di sei giorni. Il primo giorno, il 22 marzo (equinozio di primavera) era detto “arbor intrat” e consisteva nel trasporto di un pino simbolo di Attis. In questo primo giorno e nel seguente si svolgevano le lamentazioni su Attis. Il 24 era detto “sanguis”; i sacerdoti eunuchi si flagellavano e si incidevano le carni per farne sgorgare il sangue, il tutto in una danza frenetica attorno al pino. La danza e le incisioni hanno antiche radici: la Bibbia (1Re 18,20s) ce le presenta circa il culto di Baal. I neofiti in quel giorno danzavano anch’essi a suon di musica fino al raggiungimento di uno stato di esaltazione mistica, alla quale seguiva l’autocastrazione. In quel giorno veniva sepolto il pino e anche le parti anatomiche tagliate.
Il 25 (quarto giorno) era detto “hilaria”; giorno di gioia per la rivitalizzazione di Attis. Il 26 era detto “requieto”, giorno di calma, di riposo. Il 27 la statua di Cibele veniva portata nel fiume Almo per essere lavata. E tutto terminava. (L’Almo era un fiume dell’agro romano, sfociava nel Tevere. Si riteneva che fosse sede di una ninfa, che veniva venerata mentre si immergevano nell’acqua le statue degli dei).
Secondo alcuni autori, l’indomani, 28 marzo, venivano celebrati i riti segreti durante i quali il neofita, che in precedenza aveva digiunato, era ammesso a «mangiare nel tamburo e a bere nel cembalo», cioè negli strumenti consacrati alla dea.
Tale pasto rituale, vera e propria comunione con il dio, consisteva nel mangiare il suo corpo sotto forma di pane, perché Attis era la spiga mietuta verde, e nel bere il suo sangue, rappresentato dal vino.Poi il novizio riceveva il battesimo del sangue.
Coronato di fiori e avvolto in bende, come il dio morto, egli scendeva in una fossa coperta da una grata di legno. Su questa grata veniva spinto un toro ornato da ghirlande di fiori, al quale veniva tagliata la gola con una lancia consacrata. Il sangue caldo e fumante si rovesciava a fiotti sul neofita che aveva cura di riceverlo su tutto il corpo.
Alla sua uscita dalla fossa, rosso e grondante, veniva salutato come incarnazione del dio e adorato nell’assemblea. Ormai era «rinato per l’eternità»; questa nuova nascita era resa manifesta dal fatto che, per qualche giorno, l’iniziato non poteva nutrirsi che di latte.
Recando il kérnos, il vaso offerto alla dea e contenente, con ogni probabilità, gli organi sessuali del toro sacrificato, l’iniziato era infine ammesso «sotto il baldacchino» o nella «camera nuziale» per la ierogamia che lo univa a Cibele, della quale diventava lo sposo mistico.
È evidente che il sacrificio cruento e la mutilazione del toro erano surrogati per il neofita che non aveva avuto il coraggio di compierli su se stesso.
Pur avendo impiegato qualche tempo a imporsi a Roma, il culto della Madre degli dèi e del suo divino figlio vi divenne molto popolare e si diffuse rapidamente nelle più remote province, fino in Africa, in Spagna, in Gallia e perfino in Germania.
Sopravvisse poi per un certo tempo quando, sotto Costantino, il cristianesimo diventò religione ufficiale dell’impero.