Nato ad Elea nel 490 a.C., fu discepolo di Parmenide. Morì nel 430 avanti Cristo.
Zenone è stato tenace difensore delle tesi del suo maestro. Egli tenta di dimostrare, con paradossi, utilizzando cioè la forma della dimostrazione per assurdo, che assai più contraddittorie sarebbero le conseguenze derivanti dalle tesi contrarie a quelle di Parmenide.
Zenone è stato definito l’inventore della dialettica intesa come arte della confutazione.
I suoi argomenti più noti sono quelli contro il divenire delle cose, volti a ribadire l’immutabilità e immobilità dell’essere, e quelli contro la molteplicità e pluralità delle cose stesse, volti a ribadire l’unità ed indivisibilità dell’essere. Le argomentazioni di Zenone costituiscono forse i primi esempi del metodo di dimostrazione noto come reductio ad absurdum o dimostrazione per assurdo. Sono anche considerate un primo esempio del metodo dialettico, usato in seguito dai sofisti e da Socrate e inoltre furono il primo strumento che mise in difficoltà l’ambizione dei pitagorici di ridurre tutta la realtà in numeri. Oggi non si attribuisce valore fisico alle argomentazioni di Zenone, ma la loro influenza è stata molto importante nella storia del pensiero matematico e filosofico. Sono giunti fino a noi due paradossi contro il pluralismo e quattro contro il movimento.
Il primo argomento contro il moto, detto la dicotomia, parte dalla considerazione che un mobile non può mai arrivare al termine della traiettoria, perché prima di percorrere il percorso intero deve percorrerne la metà. Questo testo è stato variamente inteso (fìg. 1). A. Dato il percorso A-B, prima di giungere in B, il mobile deve percorrere ½(A-B), raggiungendo A1, ma prima di raggiungere A1, deve percorrere 3/2(A-A1) e così via. B. Supposto che il mobile abbia raggiunto il punto A1, a metà del percorso A-B, esso dovrà percorrere ½ (A2-B) prima di raggiungere B, e poi 1/2(A2-B) e così via. Aristotele spiegava la difficoltà posta da questo argomento dicendo che in esso una traiettoria infinita doveva essere percorsa in un tempo finito. In entrambe le interpretazioni il mobile dovrà percorrere infiniti intervalli decrescenti di 1/2, 1/4, 1/8,…, dove il denominatore potrà crescere all’infinito.
Il secondo argomento contro il moto è quello detto di Achille o di Achille e la tartaruga. Secondo il paradosso di Achille e la tartaruga, il veloce Achille non potrà mai raggiungere in una corsa la tartaruga se ad essa sia stato concesso un vantaggio iniziale anche di un solo passo. Infatti, quando Achille raggiunge il punto dal quale è partita la tartaruga, essa ha già percorso un certo tratto; quando poi Achille percorre questo secondo tratto, la tartaruga, di nuovo, percorre un altro piccolo tratto, e così via all’infinito. Quindi in uno spazio continuo, cioè infinitamente divisibile, è assurdo pensare che i corpi si muovano.
Il terzo pardosso è quello della freccia. L’argomento della freccia vuole dimostrare che una freccia scagliata contro un bersaglio è in realtà immobile. Infatti, in ogni istante in cui è divisibile il tempo del volo della freccia, essa è ferma nello spazio che occupa in quell’istante medesimo. Essendo immobile in ogni istante, lo è anche nella totalità di essi e quindi la freccia che si muove è in realtà sempre ferma. Contro la tesi di Parmenide, l’opinione comune è convinta che un corpo, muovendo da un punto di partenza, possa giungere ad un punto di arrivo prestabilito. Utilizzando l’argomento della dicotomia (=divisibilità per due), Zenone vuole invece dimostrare che ciò non è possibile. Infatti tale corpo, prima di raggiungere il termine del percorso, dovrebbe percorrere la metà di esso e, prima ancora, la metà della metà e così via all’infinito. Quindi, in conclusione, i corpi non si muovono. È evidente che gli argomenti di Zenone funzionano solo se si presuppone che lo spazio sia divisibile all’infinito (come in matematica). Nella realtà fisica però, come dirà Aristotele, esiste solo il finito e solo distanze finite.
Il quarto argomento contro il movimento è quello della ” Masse nello stadio” Viene considerato il più complesso
- Rispetto a un punto fermo A, due oggetti situati in punti opposti di uno stadio e che poi si muovono alla stessa velocità, in senso contrario tra loro, percorrono uno spazio che è nello stesso tempo uguale (rispetto al punto A) e doppio (rispetto all’altro oggetto in movimento).
Tale paradosso di Zenone viene definito come quello delle “masse dello stadio“. La sua comprensione non è di immediata facilità, ma pone le sue basi ancora in fondamenti matematici. Il paradosso è che qui, un oggetto ha una velocità sia pari alla metà che al doppio della stessa. Questa velocità cambia in base al parametro tenuto da riferimento. Ed è chiaro che sarà doppia rispetto ad un altro oggetto, che ugualmente si muove verso l’altro. Invece considerando il punto immobile, centrale ai due, la velocità sarà la metà di quella considerata precedentemente. Con il quarto argomento, Zenone ha inconsapevolmente scoperto, con millenni di anticipo, la Teoria della Relatività, scoperta poi definitivamente da Einstein. Con l’unica differenza che ciò che per Einstein è reale ( il movimento ), per Zenone è un assurdo logico che conferma la caratteristica del mondo di essere apparente, illusorio ed evanescente, arrivando così a difendere la tesi del maestro Parmenide, secondo il quale l’essere reale non è il mondo in cui viviamo.
Paradossi contro la molteplicità
Contro l’opinione della molteplicità delle cose Zenone argomenta che, per esserci la molteplicità, dovrebbero esserci molte unità (singole cose), dato che la molteplicità è appunto molteplicità di unità. Ma il suo ragionamento vuole dimostrare che tali unità sono impensabili ed assurde. Infatti, se gli esseri sono molteplici è necessario che essi siano tanti quanti sono e non di più e neppure di meno. Ma se essi sono tanti quanti sono devono essere finiti (in un numero definito). Però, se sono molteplici, gli esseri sono anche infiniti; infatti tra l’uno e l’altro di tali esseri ci saranno sempre di mezzo altri esseri, giacché ogni essere esteso è sempre divisibile all’infinito. Se poi si trattasse di essere inestesi, cioè uguali a zero, anche la somma totale degli esseri molteplici sarebbe sempre zero, cioè nulla, mero non essere. Dunque, sia nel primo che nel secondo caso non vi sono esseri (cose) molteplici.
- Il primo paradosso, contro la pluralità delle cose, sostiene che se le cose sono molte, esse sono allo stesso tempo un numero finito e un numero infinito: sono finite in quanto esse sono né più né meno di quante sono, e infinite poiché tra la prima e la seconda ce n’è una terza e così via.
- Il secondo paradosso invece sostiene che se queste unità non hanno grandezza, le cose da esse composte non avranno grandezza (una somma infinita di zeri è zero) mentre se le unità hanno una certa grandezza, essendo le cose composte da infinite unità maggiori di zero avranno una grandezza infinita.
Quest’ultimo paradosso trova una soluzione nella teoria degli insiemi di Cantor, come mostrato da Adolf Grünbaum, se si considera che un segmento è costituito da un insieme più che numerabile di punti.