Metafisica dei numeri – Lo Zero e L’infinito
“Ogni numero nasce dall’Uno e questo deriva dallo Zero.
In questo c’è un grande sacro mistero: Dio è rappresentato da ciò che non ha né inizio né fine; e proprio come lo zero non accresce né diminuisce un altro numero al quale venga sommato o dal quale venga sottratto, così Egli né cresce né diminuisce”.
Da un manoscritto del Monastero di Salem (XII sec)
Lo Zero è un concetto matematico che, assieme al suo complementare l’Infinito, apre le porte alle realtà oltre l’ordinario, è una chiave per avvicinarsi a comprendere il Mistero dell’Esistenza. Essendo lo Zero un concetto sfuggente (Che cosa è il nulla? L’assenza di qualcosa è qualcosa oppure no?) non a caso è stato introdotto nella Matematica occidentale con grande ritardo. I Greci ed i Romani non avevano assegnato un valore numerico al nulla, in quanto se il “niente” è qualcosa che non esiste, come potrebbe esistere un numero che lo rappresenti?
I Babilonesi dovettero inventare lo zero, utilizzando come simbolo dei cunei inclinati, per evitare la confusione nella notazione dei numeri. Prima dello zero usavano degli spazi vuoti per separare le cifre e per indicare le centinaia e le migliaia, ma il sistema era soggetto a facili errori (immaginate, infatti, di scrivere 61, 601 e 6001 usando degli spazi vuoti: 61 6 1 6 1). Anche i Maya introdussero lo zero (spesso usando la forma di una conchiglia) proprio per indicare lo spazio vuoto. Nel “Popol Vuh” (un’antica raccolta di miti Maya) lo Zero viene\ fatto corrispondere al momento del sacrificio divino, forse legato al ciclo cultuale agreste del mais, il cui seme muore per poter germogliare, inteso come momento di transizione tra una vita e l’altra, da uno stato all’altro di esistenza.
La popolazione che però ci ha lasciato come eredità lo zero è stata la terza a scoprire tale numero e cioè quella Indiana. Il più antico esempio documentato di uso dello zero in India risale al 485 d.C., in un testo cosmologico giainista. I matematici indiani fecero un salto di qualità che non era avvenuto nell’antica Babilonia o in America Centrale e cioè usare lo zero non solo in modo posizionale ma facendolo diventare una cifra vera e propria. L’astronomo indiano Brahmagputa (nel 628 d.C.) definì lo zero come il risultato che si ottiene sottraendo un numero da se stesso e definì l’infinito come il numero che si ottiene dividendo per zero qualsiasi altro numero! In India lo zero (sunya – lett. vuoto – o sunya-bindu, il punto zero) acquisì significati metafisici e semantici, che spaziavano dal nulla all’atmosfera, dalla volta del cielo alla completezza, dall’immensità dello spazio al vuoto. Il bindu (punto) era il Nulla che poteva generare qualsiasi cosa ed era, infatti, utilizzato negli schemi meditativi tantrici, gli Yantra.
Gli Arabi appresero dagli Indiani il sistema di numerazione posizionale decimale e, nel Medioevo, lo trasmisero agli europei (ed ecco perché i nostri numeri sono detti “arabi”). Gli Arabi chiamavano lo zero sifr (صفر), lett. vuoto, ma nelle traduzioni latine venne indicato, per assonanza, con zephirum, cioè zefiro (il vento di ponente). Da zephirum si ebbe il veneziano zevero e quindi zero. Fu i particolare Leonardo Fibonacci (1170-1250), matematico pisano della corte di Federico II di Svevia, a far conoscere la numerazione posizionale in Europa. Lo Zero è un numero impegnativo, crea difficoltà anche nella scelta se inserirlo o meno tra i numeri naturali (1, 2, 3, 4, 5, ecc…), argomento controverso tra i matematici in quanto rappresentando il nulla escluderlo dai numeri naturali significherebbe non avere un simbolo che indichi l’assenza di oggetti in un insieme, allo stesso tempo includerlo va contro il semplice presupposto dei numeri naturali come indicatori di una quantità di oggetti… affascinante dilemma che introduce alla “Mistica dello Zero”!
Dividere lo 0 per un numero qualsiasi, diverso da zero, è facile: il risultato è zero. Ad esempio, 0 : 5 = 0, perché 5 x 0 = 0. Ma dividere un numero per zero non sembra possibile, perché come si potrebbe moltiplicare quel risultato per zero ed ottenere il numero di partenza? Per convenzione abbiamo allora che n : 0 = , in pratica il risultato tende ad infinito, sebbene non lo raggiunga mai. E cosa si può dire di 0 : 0? In effetti adesso non mancherebbero le soluzioni, poiché qualsiasi numero andrebbe bene come risultato. Infatti 0 : 0 = 5 perché “cinque per zero fa zero”, oppure 0 : 0 = 302 perché “trecentodue per zero fa ancora zero”!
Moltiplicare un numero per zero ci offre lo zero, dividerlo per zero ci offre l’infinito!
Lo zero rappresenta il Nulla e allo stesso tempo crea l’Infinito!
E’ qualcosa di straordinario che richiama molto il concetto di Vuoto Quantomeccanico.
Un simbolo del Vuoto Generatore, che richiama molto il simbolo dello Zero è l’Uovo. In molti miti e cosmogonie abbiamo l’Uovo come rappresentazione della matrice primordiale da cui sorge l’Esistenza (ad es. nel mito indù dell’uovo cosmico Hiranyagarbha, “grembo d’oro”, ma anche in miti egizi, cinesi, greci, celti ed africani). L’Uovo racchiude in sé il mistero biologico dell’origine ed il segreto dell’essere; rappresenta un nulla latente che produce qualcosa di vitale, alla stessa stregua dello Zero, che apparentemente significa “niente” ma da cui si origina il Tutto (l’Uno e ogni altra cifra)!
L’Infinito è complementare allo Zero. Matematicamente, come abbiamo visto, ne è il reciproco n : 0 = e n : = 0, inoltre come moltiplicando qualsiasi numero per zero si ottiene zero abbiamo che moltiplicare qualsiasi numero per infinito da infinito (n x 0 = 0 e n x = ).
L’infinito concepito come potenziale, qualcosa a cui si tende ma che non si raggiunge mai, è il protagonista dei paradossi di Zenone di Elea (il più famoso è quello di “Achille e la tartaruga”, secondo cui il veloce Achille non potrà mai raggiungere una tartaruga partita prima di lui, perché una volta arrivato alla posizione dove quest’ultima si trovava, essa si è già mossa un po’ in avanti e così via, all’infinito). Alla fine dell’Ottocento, grazie a due matematici tedeschi, Richard Dedekind e Georg Cantor, venne stabilita l’esistenza dell’infinito in atto (cioè reale, fisico), addirittura Cantor riuscì a dimostrare che tale infinito non è unico, ma che esistono molteplici infiniti (la mente ordinaria non può che chiedersi: ma come è possibile?).
Per “giocare” matematicamente con l’infinito possiamo utilizzare le serie divergenti. Una serie divergente è una sommatoria che tende ad infinito quando il numero dei suoi termini tende all’infinito e questo causa dei paradossi interessanti, che mettono in crisi le menti più razionali, al punto che il matematico Niels Henrik Abel ha detto: “Le serie divergenti sono un’invenzione del diavolo, ed è una vergogna fondare su di esse qualsiasi dimostrazione”.
Prendiamo in considerazione la seguente serie:
S = 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – …
Da questa segue che:
– S = – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + ….
Disponiamo le due serie nel seguente modo:
S = 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – …
– S = – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – …
Sottraendo la riga inferiore da quella superiore, otteniamo: S – (– S) = 2S = 1 cioè S = ½ Possiamo adesso riscrivere la serie come: S = (1 – 1) + (1 – 1) + (1 – 1) + … e in questo caso S = 0 oppure come: S = 1 + (– 1 + 1) + (– 1 + 1) + … che fa 1, quindi in questo caso S = 1. In base al modo in cui viene manipolata algebricamente, la serie può quindi valere: 1, 0 oppure ½
Il matematico tedesco Georg Cantor (1845-1918) abbracciò l’idea dell’infinito attuale e stabilì che vi erano differenti tipi di infiniti, uno più grande dell’altro, a cui dette il nome di numeri transinfiniti. Secondo Cantor vi erano infiniti insieme infiniti e al di là di essi l’Assoluto, per sua natura indefinibile.
E’ interessante sottolineare che mentre la comunità dei matematici si scontrava con le idee di Cantor, chi gli prestò attenzione fu la Chiesa, infatti il papa Leone XIII (ispiratore di un’apertura verso la scienza) scorgeva in queste idee una possibilità di contemplazione di Dio.